Tecnologia innovativa per la determinazione non invasiva del ferro nel fegato
Dal febbraio 2005 presso la S.S.D. Microcitemia – Centro della Microcitemia e delle Anemie Congenite – dell’Ospedale Galliera di Genova, è in funzione il primo prototipo di un biosuscettometro denominato Magnetic Iron Detector – MID, apparecchio innovativo che consente la determinazione non invasiva degli accumuli di ferro nel fegato.
Il sovraccarico di ferro è fortemente tossico per organi ed apparati e può essere causato da un alterato assorbimento intestinale (emocromatosi congenite, e le sindromi metaboliche, epatopatie HCV etc.) o più frequentemente dalla terapia trasfusionale in pazienti affetti da anemie croniche di varia origine (sindromi thalassemiche, sindromi mielodisplastiche ed altre patologie onco-ematologiche trasfusione dipendenti, anemie congenite etc.).
Il MID nasce dalla collaborazione di una équipe del Dipartimento di Fisica dell’Università di Genova, guidata dal Prof. Mauro Marinelli con il Centro della Microcitemia e delle Anemie Congenite dell’Ospedale Galliera di Genova, diretto dal Dott. Gian Luca Forni, ed il contributo fattivo dell’Associazione Ligure Thalassemici. Il primo prototipo è stato costruito nel 2005 nel laboratorio della sezione di Genova dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare secondo i criteri di sicurezza richiesti dalla normativa per l’utilizzo clinico ed installato presso i locali del Centro della Microcitemia.
L’apparecchio si compone di una barella scorrevole sulla quale si stende il paziente, il magnete e il rilevatore. L’acquisizione e l’elaborazione del segnale viene effettuata attraverso un computer dotato di un software dedicato.
La validazione è stata eseguita confrontando i dati ottenuti dalle misurazioni tramite MID con quelli ricavati da biopsie epatiche, dalla biosuscettometria magnetica SQUID (Superconductive Quantum Interference Device) e dalla Risonanza Magnetica.
Il MID misura la suscettività magnetica dell’intera regione epatica: il sovraccarico di ferro è ottenuto dalla differenza fra il segnale prodotto dal corpo del paziente sottoposto a un campo magnetico e quello che gli si attribuisce, sulla base di misure caratteristiche del corpo stesso, supponendolo privo di sovraccarico di ferro. Non necessita quindi delle biopsie per essere calibrato. Le informazioni ottenute con il MID integrano quelle che si ricavano dalla Risonanza magnetica cardiaca e dal Fibroscan®, permettendo così una diagnosi complessiva del sovraccarico di ferro.
Dal 2005 sono state effettuate oltre 1100 misurazioni. E’ in corso la validazione anche su una popolazione di pazienti in età pediatrica.
Peculiarità del MID è di poter essere installato in qualsiasi locale privo di particolari requisiti tecnologici e la sua gestione è semplice ed economica in quanto lavora a temperatura ambiente e può essere gestito da un solo operatore addestrato, ma non dedicato.
Il MID si è rivelato molto utile nella diagnostica differenziale di stati di iperferritinemia. Nei pazienti affetti da emocromatosi congenita in terapia con cicli di flebotomie e nei o pazienti thalassemici in terapia chelante intensiva il MID rende possibile il monitoraggio dell’efficacia della terapia e quindi la modulazione della frequenza delle flebotomie o dei dosaggi terapeutici dei farmaci chelanti.
Fonte: Ospedale Galliera di Genova
SARDEGNA: RISONANZA MAGNETICA CARDIACA (2007)
Università degli Studi di Cagliari
Rassegna a cura dell’UFFICIO STAMPA
domenica 5 giugno 2005
Pagina 25 – Cagliari
Uno studio sardo-inglese
Farmaco per via orale per ridurre il ferro: i talassemici sperano
La speranza, per i mille malati talassemici sardi si è sempre mossa su due vie: il trapianto di midollo osseo, unico metodo di cura definitivo, e l’iniezione di un medicinale nel sangue per rimuovere il ferro dai tessuti. Grazie a una collaborazione con il Royal Brompton Hospital di Londra, il Microcitemico di Cagliari sta sperimentando un farmaco per via orale, che permetterà di ottenere la chelazione (riduzione di ferro) con terapie meno dolorose, e che spesso i malati non applicano in maniera continuativa. Asse Cagliari-LondraLo studio clinico sull’asse Cagliari?Londra è stato al centro del meeting di ieri all’hotel Mediterraneo, intitolato Il trattamento della talassemia – attualità e prospettive, organizzato dalla Struttura complessa microcitemie e malattie ematologiche dell’ospedale Microcitemico e dalla fondazione Giambrone Thalassemia. «Siamo di fronte a un’importante collaborazione che può dare nuove speranze al malato di talassemia», ha spiegato il professor Renzo Galanello, direttore della Struttura.
Grazie alla sperimentazione, pensiamo che entro quattro anni potrà essere messo in circolazione un nuovo medicinale orale.
Ricordo che negli ultimi dieci anni l’unica terapia in grado di chelale, cioè ridurre il ferro nei tessuti e nel cuore, era quella della trasfusione, con il medicinale pompato nel sangue per diverse ore, tutti i giorni. Capitava così che molti pazienti smettessero la cura. Ora è in commercio dal 2004 un primo farmaco orale, il Deferiprone 1, ma grazie a questo protocollo con l’ospedale di Londra, si sta sperimentando un altro medicinale, combinando il Deferal e un farmaco Placebo, che non contiene il principio chelante attivo». Sperimentazione in corsoPer la sperimentazione del nuovo farmaco si sono offerti volontari tantissimi ragazzi sardi provenienti da tutti i centri microcitemici della Regione. L’efficacia viene valutata e tenuta sotto controllo studiando gli effetti che il farmaco ha sul cuore, l’organo maggiormente danneggiato dall’accumulo di ferro. «Per fare questo – ha sottolineato Galanello – si utilizza la risonanza magnetica nucleare.
L’ospedale londinese ha inviato per tre volte un tir con un apparecchio mobile per effettuare le risonanze. Il tutto a costo zero per la sanità sarda». Sono state effettuate in pochi giorni circa 160 risonanze.
E non solo alle persone inserite nello studio. «Serve un tecnico»E pensare che di risonanze, al Microcitemico, ne vengono fatte una alla settimana (con la speranza di arrivare a quattro): tutto perché non si ha a disposizione uno strumento (dal costo di oltre un milione di euro) dedicato esclusivamente ai talassemici.
«Questa collaborazione con gli inglesi è fondamentale per gli studi sul trattamento della talassemia», ha concluso l’organizzatore del convegno, insieme ad Andrea Barra, presidente della fondazione Thalassemia. Per migliorare la situazione al Microcitemico, Galanello ha sottolineato la necessità di avere un tecnico e di «poter utilizzare un macchinario per le risonanze solo ai talassemici».
Il ruolo fondamentale dell’ospedale nello sviluppo delle conoscenze sulla talassemia è riconosciuto da tutti. In apertura di convegno, a ricordarne la storia, i problemi, le speranze, i successi, è stato il suo primo artefice, lo scienziato Antonio Cao, per vent’anni alla guida del Microcitemico, protagonista ora come in passato di questa importante partita per il futuro dei malati sardi di talassemia.
Università degli Studi di Cagliari
Rassegna a cura dell’UFFICIO STAMPA
domenica 5 giugno 2005
Pagina 2 – Cagliari
SCIENZA E SALUTE
La genetica contro la talassemia
I risultati di uno studio condotto all’istituto di ematologia
CAGLIARI. Le speranze di guarigione dei malati di talassemia attraversano i territori ancora in parte inesplorati della genetica. Il futuro lontano si chiama terapia genica. Il presente, ferma restando la validità del trapianto (95 per cento di successi a patto che il donatore sia compatibile, condizione non facile a verificarsi) passa per un più efficace trattamento chelante del ferro, il cui sovraccarico soprattutto sul muscolo cardiaco è causa di patologie e scompensi quasi sempre mortali per il paziente.
La sostanza che promette di raggiungere i risultati più incoraggianti nel trattamento per la rimozione dell’eccesso di ferro dal cuore dei talassemici è il deferiprone, meglio conosciuto come L1, usato da solo o in associazione con la già nota desferrioxamina.
Delle nuove frontiere terapeutiche nella cura della talassemia si è parlato ieri in un convegno organizzato all’hotel Mediterraneo dalla sezione sarda della fondazione intitolata a Leonardo Giambrone. In particolare l’utilizzo del deferiprone, la sua efficacia e tollerabilità, costituiscono l’oggetto dello studio condotto dall’equipe di Renzo Galanello, docente di ematologia pediatrica all’Università di Cagliari, uno dei ricercatori dell’ospedale microcitemico.
Si tratta dell’unico studio del genere arrivato a un passo dalla pubblicazione, al punto da suscitare l’interesse di alcuni istituti di ricerca statunitensi dove sono in corso analoghe sperimentazioni. Per i risultati definitivi si dovrà attendere l’elaborazione dei dati, disponibile tra qualche mese. Allo studio, con un impatto finanziario uguale a zero sulla sanità pubblica regionale, hanno partecipato talassemici provenienti da tutta l’isola.
L’efficacia della terapia a base di L1 viene valutata per mezzo della risonanza magnetica nucleare cardiaca, un metodo innovativo per la misurazione dei livelli di ferro nel cuore, in cui si distinguono i cardiologi del Royal Brompton Hospital di Londra, che più volte ha inviato al presidio ospedaliero di via Jenner un apparecchio mobile e un team di medici guidato da Dudley Pennell, tra i relatori del convegno di ieri.
Una macchina simile è già attiva da alcuni anni all’ospedale Brotzu, unica in Italia e di recente dotata dello stesso software che fa funzionare la sua gemella inglese, ma i tempi di attesa per i pazienti sono spesso lunghi: «Sarebbe meglio disporre stabilmente di un altro apparecchio» è l’auspicio di Galanello.
Sono stati avviati contatti con l’Enel, a quanto si dice disposta a finanziarne l’acquisto. Il costo si aggira intorno al milione di euro: «Ma con una migliore organizzazione del lavoro quello a disposizione del Brotzu sarebbe sufficiente» dice Antonio Cao, per vent’anni direttore del Microcitemico.
Nel frattempo proseguono gli studi nel campo della terapia genica, basata sul trasferimento di materiale genetico nelle cellule dei malati. Tuttavia «i problemi da affrontare sono ancora tanti» premettono Antonio Cao e Paolo Moi, il medico cagliaritano impegnato nella ricerca delle molecole capaci di attivare l’emoglobina fetale.
La tecnica più diffusa è quella dell’applicazione nelle cellule dei malati dei vettori lentivirali, costituiti da virus HIV modificati. Ma i vantaggi maggiori sarebbero raggiungibili in associazione al clonaggio terapeutico dell’embrione. Considerato ancora un tabù etico insormontabile.